Il concetto di appropriatezza in medicina

XIX Congresso Nazionale SIdP 2016

Sandra Vernero

Il concetto di appropriatezza clinica – che prevede che venga effettuata la prestazione giusta, in modo giusto, al momento giusto, al paziente giusto – non ha finora trovato una adeguata applicazione pratica in medicina; eppure la sua definizione risale almeno agli anni ‘90: “si definisce appropriata una procedura se i benefici da essa derivanti superano i rischi ad essa connessi con una probabilità tale da renderla preferibile alle possibili alternative”[1]; e “l’appropriatezza deriva dal rapporto tra la probabilità che l’intervento – somministrato in certe circostanze – produca un effetto positivo rispetto a quella che produca effetti negativi”[2].

L’Institute of Medicine degli USA ha messo al centro del suo rapporto del 2001 Crossing the Quality Chasm (letteralmente “Superare l’abissale divario della qualità”)[3], pietra miliare nel mondo della qualità in medicina, la necessità di superare tre tipi di inappropriatezza clinica: il sovra utilizzo (overuse), il sottoutilizzo (underuse) e l’utilizzo scorretto o errore (misuse) di esami o prestazioni terapeutiche; ma in realtà nelle organizzazioni sanitarie una valutazione di appropriatezza è stata più spesso applicata alla componente organizzativa, trascurando quella clinica o professionale.

Il sovrautilizzo di esami e trattamenti si configura invece come un vero e proprio errore clinico, che danneggia i pazienti, sia direttamente – come nel caso delle radiazioni ionizzanti in eccesso, di molte procedure invasive, degli effetti collaterali dei farmaci – sia indirettamente attraverso falsi positivi e sovradiagnosi[4], cui conseguono ulteriori esami e interventi chirurgici, in un circolo vizioso pericolosissimo[5].

Oltre a ciò, esso rappresenta uno spreco di notevole entità: negli USA si valuta che l’ammontare delle prestazioni che non apportano alcun beneficio ai pazienti corrisponda ad almeno il 30% della spesa sanitaria[6][7]; e anche l’OMS ha stimato nel 2010 che una percentuale della spesa sanitaria compresa tra il 20% e il 40% rappresenti uno spreco causato da un utilizzo inefficiente delle risorse.

Nel 2002 è stata lanciata, da parte della Fondazione ABIM (American Board of Internal Medicine Foundation), della Fondazione dell’ACP (American College of Physicians) e dalla Federazione Europea di Medicina Interna, la “Carta della Professionalità Medica per il nuovo millennio[8]: la Carta ha come suoi principi fondamentali il primato del benessere del paziente, la sua autonomia e la giustizia sociale.  In particolare la Carta sottolinea l’impegno ad una equa distribuzione di risorse limitate e chiama in causa i medici perché si assumano la responsabilità dell’allocazione appropriata delle risorse e dell’evitare test e procedure superflue, dato che “fornire servizi non necessari non solo espone i pazienti a rischi e costi evitabili ma anche riduce le risorse disponibili per gli altri”.

La stessa fondazione ABIM, con la collaborazione di Consumer Reports, organizzazione non profit e indipendente di consumatori, ha promosso nel 2012 l’iniziativa Choosing Wisely[9] invitando le società scientifiche USA a individuare ognuna una lista di 5 test o trattamenti sanitari comunemente utilizzati nella propria specialità, il cui impiego debba essere messo in discussione da pazienti e clinici.

L’adesione delle società scientifiche USA è stata molto alta: dopo le prime 9 liste di test e trattamenti a rischio di inappropriatezza pubblicate in aprile 2012, risultano attualmente più di 70 le società che hanno presentato una o più liste per un totale di più di 400 pratiche[10].

Anche in Italia, nonostante il livello di spesa pro-capite per la sanità risulti inferiore alla media dei Paesi OCSE, è possibile evidenziare in molti settori un sovra-utilizzo di risorse, che emerge anche dal confronto con gli altri Paesi.

Slow Medicine[11] ha pertanto  lanciato in Italia a fine 2012, in analogia all’iniziativa Choosing Wisely in atto negli Stati Uniti, il progetto “FARE DI PIÙ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO[12][13] che si propone, con il coinvolgimento diretto dei professionisti, in primo luogo dei medici, e la partecipazione attiva di pazienti e cittadini, di migliorare la qualità e la sicurezza dei servizi sanitari attraverso la riduzione di esami diagnostici e di trattamenti che, secondo le conoscenze scientifiche disponibili, non apportano benefici significativi ai pazienti ai quali sono generalmente prescritti, ma possono, al contrario, esporli a rischi.

Promuovono il progetto anche FNOM-CeO, IPASVI, SIQuAS-VRQ, l’Istituto Change di Torino, PartecipaSalute, Inversa Onlus, Altroconsumo, la Federazione per il Sociale e la Sanità della provincia autonoma di Bolzano e Slow Food Italia.

Hanno aderito al progetto, a dicembre 2015, più di 30 società scientifiche mediche, oltre a società di farmacisti, di infermieri e di fisioterapisti, e sono state pubblicate 29 liste di esami e trattamenti a rischio di inappropriatezza in Italia, per un totale di 145 pratiche[14]. Come in Choosing Wisely, queste pratiche devono essere al centro della relazione tra professionisti e pazienti, per decisioni informate e condivise.

è inoltre stato costituito il movimento Choosing Wisely internazionale, coordinato da Choosing Wisely Canada con l’università di Toronto e costituito da 17 Paesi tra cui l’Italia, rappresentata dal progetto “FARE DI PIÙ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO”[15].  Il terzo incontro del gruppo internazionale si svolgerà a Roma nei giorni 11-12-13 maggio 2016.

[1]Kahan JP, Bernstein SJ, Leape LL et al: Measuring the necessity of medical procedures. Med Care 1994;32:357-365

[2]Muir GrayJ.A.. L’assistenza sanitaria basata sulle prove: come organizzare le politiche sanitarie - Ed. italiana / a cura di Alessandro Liberati e Roberto Grilli. - Torino : Centro scientifico, copyr. 1999

[3] Committee on Quality of Health Care in America, Institute of Medicine. Crossing the Quality Chasm: A New Health System for the 21st Century. Washington, DC, USA: National Academies Press; 2001

[4] Welch HG, Black WC. Overdiagnosis in Cancer. J Natl Cancer Inst 2010;102:605–613

[5]Domenighetti G, Vernero S. Looking for waste and inappropriateness: if not now, when? Intern Emerg Med (2014) 9 (Suppl):S1–S7

[6] Berwick DM, Hackbarth A. Eliminating waste in US health care [published online ahead of print March 14, 2012]. JAMA. doi:10.1001/jama.2012.362

[7]Brody H. From an Ethics of Rationing to an Ethics of Waste Avoidance. N Engl J Med 2012;366:1949-51

[8] American Board of Internal Medicine Foundation; ACP-ASIM Foundation; European Federation of Internal Medicine. Medical professionalism in the new millennium: a physician charter. Ann Intern Med. 2002;136(3):243-246; http://www.medicina.unimi.it/files/_ITA_/Homepage/Carta professio medica.pdf

[9] Cassel CK, Guest JA. Choosing wisely: helping physicians and patients make smart decisions about their care. JAMA. 2012;307:1801-2.

[10]http://www.choosingwisely.org/

[11]Bonaldi A, Vernero S. Slow Medicine: un nuovo paradigma in medicina. Recenti Prog Med 2015; 106: 85-91

[12]Domenighetti G, Vernero S. Fare di più non significa fare meglio. SaluteInternazionale.info 8 maggio 2013

[13]Vernero S, Domenighetti G, Bonaldi A. Italy’s “Doing more does not mean doing better” campaign. BMJ 2014;349:g4703

[14]www.slowmedicine.it/pratiche.html

[15]Levinson W, Kallewaard M, Bhatia RS, Wolfson D, Shortt S, Kerr EA; On behalf of the Choosing Wisely International Working Group. ‘Choosing Wisely’: a growing international campaign. BMJ Qual Saf 2015; 24:167-174.